venerdì 15 luglio 2011

Una maggiore beatitudine

Epitaffio per il mio gatto Mio, che da qualche giorno non c'è più. Tra serio e faceto, non me ne vogliate a male.


Mio,
mio come il cuscino che sempre mi volevi rubare,
mio come il vocabolario che ti cadde in testa
e io e Marta ci disperavamo
se portarti in ospedale.
Eri Mio, ma soprattutto eri suo,
giacché fu lei poi a darti il nome.
Ricordo la sera che ti portarono
e tu non piangevi
e noi ti guardavamo
e tu non piangevi
ma quando poi ci siamo ritirate
ecco che hai iniziato
a miagolare come un matto.
Avevi terrore di stare solo.
Quante ne abbiamo fatte, mio Mio:
quante sciocchezze
avrai dovuto sopportare,
come quando ti facevamo i video
cantando Laura Pausini.
Mi dicono, Mio, che noi non facevamo
cose esaltanti e io ricordo
che tu non volevi mai giocare:
le biglie, i fili
erano per te tutti un ritardo del pranzo.
Però, guardando te,
guardando quando dormivi o mangiavi,
quasi si poteva cogliere
un modo d’essere altro,
una maggiore beatitudine
di noi che invece strillavamo.
Da quanti acciacchi la mamma
ti ha guarito, quanti occhi gonfi,
quante giungle indossate
con disinvoltura:
una lumaca, persino, una volta.
Caro Mio, il tuo cuscino non c’è più.
Ora c’è soltanto il mio.
Ma è triste che nessuno
ci si voglia più sedere.

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