sabato 20 giugno 2015

Il soccombente, Thomas Bernhard

«Voleva essere artista, a lui non bastava essere l’artista della propria vita, benché questo concetto racchiuda tutto ciò che può rendere felice qualsiasi persona lungimirante, pensai. Wertheimer insomma si era innamorato, o addirittura era rimasto ammaliato dal proprio fallimento, pensai, e in questo fallimento si era incaponito fino alla fine. In effetti potrei dire perfino che pur essendo certamente infelice nella sua infelicità, sarebbe stato ancora più infelice se dall’oggi al domani avesse smarrito la sua infelicità, se questa da un momento all’altro gli fosse stata sottratta, il che dimostrerebbe ancora una volta che in fondo Wertheimer non è stato infelice, ma anzi felice, sia pure con la sua infelicità e a causa di essa, pensai. In verità sono molte le persone che proprio perché profondamente immerse nella loro infelicità, in fondo sono felici, pensai, e dissi a me stesso che forse Wertheimer è stato davvero felice perché della propria infelicità è stato consapevole in ogni momento e di essa si è potuto rallegrare».


È stato difficile arrivare in fondo a questo libro (il che, di solito, non presuppone una recensione positiva). È stato difficile, perché questo romanzo brutale, spietatamente sincero in ogni sua parte, ha tolto la crosticina a ogni mia ferita, quelle già rimarginate e quelle in via di guarigione.
Il soccombente è la storia di tre virtuosi del pianoforte, conosciutisi da giovani in una delle più prestigiose scuole di musica austriache: Glenn Gould, Wertheimer e il narratore. Il momento decisivo per la loro amicizia, ma soprattutto per la loro vita, fu quello in cui Glenn eseguì, con genio insuperabile, le Variazioni Goldberg di Bach, pezzo che gli sarebbe valso, in futuro, la fama mondiale.



Quel momento ritorna nella vita del narratore e di Wertheimer come uno spettro: al cospetto di quella perfezione, essi e il loro modo di suonare sono niente. Se non possono essere la perfezione, allora vogliono essere niente, e per questo abbandonano la carriera pianistica. Ciò ha effetti diversi sulla loro vita: il narratore, per cui il pianoforte è sempre stato un capriccio, accusa meglio il colpo e si ritaglia uno spazio di sopravvivenza; invece Wertheimer, per cui il pianoforte era tutto (nonostante l’incapacità di raggiungere il vertice), alimenta le braci di un fuoco spento. È proprio lui il protagonista del romanzo: il soccombente, l’uomo che ha fatto del fallimento la cifra della propria esistenza, un uomo inadatto alla vita e tirannico nella sua inettitudine. Ora, io credo che il fallimento sia anche la cifra della nostra esistenza, forse non di tutti, ma certamente una delle esperienze più comuni, sia esso un fallimento reale o un fallimento che sentiamo di incarnare. Per questo il romanzo non può che ferirci e torturarci, gettandoci in faccia le nostre mancanze e vigliaccherie. Bernhard lo fa con uno stile ripetitivo fino all’ossessione, e forse davvero ossessionato, come ossessionato è il narratore dal genio di Glenn e dal fallimento di Wertheimer, poli opposti tra i quali anche la sua vita è sballottata e si destreggia per trovare il giusto mezzo. È un libro che apre nella mente squarci lancinanti di verità e credo che nessun lettore dovrebbe negarlo a se stesso.

sabato 13 giugno 2015

Under, Giulia Gubellini

«Aveva aperto il gas, il fischio del vento, la pressione dell’aria contro il corpo e la moto che si spingeva oltre ogni barriera. Alice si era stretta a lei, aveva staccato una mano, spalancato le braccia. Sara nello specchietto l’aveva vista ridere fino alle lacrime, e si era sentita felice. Aveva mostrato ad Alice cosa si prova a essere liberi».


Questo romanzo è stato per me una piacevole scoperta. Tanto più piacevole, se si pensa che per trovare una buona lettura YA, che coniuga l’elemento distopico col paranormale, non bisogna neanche uscire dai confini nazionali. Almeno per questa volta.
La vicenda è ambientata in Italia, nel 2025. Il paese immaginato dall’autrice sembra aver fatto un passo indietro di circa un secolo: di nuovo, per uscire da una crisi ha preferito affidarsi alle seducenti promesse di un’Autorità Provvisoria, che ha lasciato credere di saper risolvere tutti i problemi, ed è diventata essa stessa il problema. Uno scenario non così incredibile, quando si pensa al nostro carattere nazionale, in cui velleità di sottomissione al più forte e memoria corta hanno sempre scritto la storia.
In questa Italia è cresciuta la giovane Alice, che conosce la libertà solo attraverso le parole della sorella Sara, ribelle e anticonformista. Il suo esempio le ha insegnato a ragionare con la propria testa e a vedere nell’Autorità Provvisoria non una presenza inevitabile e quasi fatale, ma un’intrusione tirannica. Talmente tirannica che un giorno, per caso o forse no, Alice viene prelevata con la forza – fatta scomparire –  e reclusa in un bunker sulle Alpi, insieme al ragazzo per cui ha una cotta e altri undici adolescenti. Non si tratta, però, di adolescenti comuni: la maggior parte di loro sono assassini, provenienti da Centri Rieducativi del paese; altri sono Ribelli, colpevoli di aver sfidato l’Autorità Provvisoria. Sono stati selezionati per partecipare alla prima edizione di Under, reality show ed esperimento sociale, congegnato per impartire al pubblico una sana dose di paura dell’Autorità, ma soprattutto il rispetto per il suo impegno contro la criminalità minorile. I concorrenti devono convivere in condizioni di privazione assoluta e scontrarsi quotidianamente su un ring per la propria sopravvivenza, in un crescendo di tensione, soprusi, strategie e assassinii a sangue freddo.
La bravura dell’autrice consiste nel non risparmiare sulla componente di violenza, sia essa verbale o fisica. In alcune scene il lettore è stretto in una morsa di tortura e disgusto, molto appropriata per lo scenario che si vuole dipingere, felicemente non edulcorato. Interessante è anche la scelta delle tre storie parallele: Alice nel bunker, il tentativo di salvataggio da parte della sorella e di un ribelle-veggente e il punto di vista dei due supervisori e registi di Under. Le diverse focalizzazioni consentono di entrare in confidenza con lo scenario politico descritto dall’autrice: per esempio, per chi vive a Bologna, come me, è una delizia ritrovarla descritta sotto le spoglie di Città 051 e seguirne la geografia e l’evoluzione. Unica pecca: forse la sovrabbondanza e la frammentazione dei punti di vista (anche all’interno di una stessa pagina) rendono difficile per il lettore stabilire un rapporto più stretto ed empatico con i personaggi. Per il resto, Under presenta una scrittura fresca e pulita, certamente un esordio da non sottovalutare, premessa di sviluppi necessariamente positivi. Il finale lascia aperta la possibilità di un seguito, in cui spero (qualora si realizzi) possa essere approfondito ancora di più lo scenario politico e sociale.
A Giulia, i migliori auguri.