martedì 23 settembre 2014

Lettera a una professoressa, Scuola di Barbiana


Ora siamo qui a aspettare una risposta. Ci sarà bene in qualche istituto magistrale qualcuno che ci scriverà:
« Cari ragazzi,
non tutti i professori sono come quella signora. Non siate razzisti anche voi.
Anche se non sono d’accordo su tutto quello che dite, so che la nostra scuola non va. Solo una scuola perfetta può permettersi di rifiutare la gente nuova e le culture diverse. E la scuola perfetta non esiste. Non lo è né la nostra né la vostra.
Comunque quelli di voi che vogliono essere maestri venite a dar gli esami quaggiù. Ho un gruppo di colleghi pronti a chiudere due occhi per voi.
A pedagogia vi chiederemo solo di Gianni. A italiano di raccontarci come avete fatto a scrivere questa bella lettera. A latino qualche parola antica che dice il vostro nonno. A geografia la vita dei contadini inglesi. A storia i motivi per cui i montanari scendono al piano. A scienze ci parlerete dei sormenti e ci direte il nome dell’albero che fa le ciliegie ».
Aspettiamo questa lettera. Abbiamo fiducia che arriverà.
Il nostro indirizzo è: Scuola di Barbiana Vicchio Mugello (Firenze).


Nel 1954, prima che vi arrivasse Don Lorenzo Milani, Barbiana non era che un villaggio di poche case, sperduto sulle colline del Mugello. Non ci si arrivava per caso: non c’era neanche la strada. Don Milani, in effetti, ci arrivò “per punizione”: le sue simpatie operaie e le idee non proprio ortodosse non andavano a genio al cardinale di Firenze. Nei 13 anni che seguirono, Don Milani mise in piedi l’esperienza didattica più significativa che la storia dell’educazione italiana ricordi.
Per i banchi della scuola di Barbiana (due stanze della canonica più due di officina) passarono i ragazzi scacciati dalla scuola tradizionale, figli di contadini e operai, poveri, semi-analfabeti, dunque (secondo un’analogia della pedagogia dell’epoca) “cretini”.
La scuola era aperta 365 giorni l’anno (366 negli anni bisestili), dalle 8 del mattino alle 7 e mezzo di sera.
Nel 1963 vi si contavano 29 alunni e 23 maestri, perché quasi tutti gli alunni erano maestri a loro volta.



Se anche oggi questi dati ci appaiono singolari, figuriamoci come dovevano apparire all’epoca. L’esperienza educativa di Barbiana suscitò sconcerto e fu all’origine di un vasto dibattito, destinato a cambiare (purtroppo non del tutto e non per sempre) la scuola italiana. Manifesto del cambiamento richiesto alla scuola tradizionale fu proprio Lettera a una professoressa, scritto dagli allievi della scuola insieme a Don Milani e pubblicato nel 1967, proprio l’anno in cui Don Milani morì.
Il testo, nella forma di una lettera a un’ipotetica professoressa, colpevole di aver bocciato l’alunno-autore, è una durissima accusa alla scuola dell’epoca e, non nascondiamocelo, alla scuola di oggi. Se le idee espresse con tanta severità, in uno stile limpido e vigoroso, possono oggi apparirci naïf (almeno in alcuni passaggi), non possiamo ignorare quanto invece siano ancora profondamente e dolorosamente attuali. Nella mente del lettore, l’ideale dei ragazzi di Barbiana appare tutt’oggi una bellissima utopia. Ci fu davvero una scuola così? C’è ancora una scuola così? Una scuola senza voti né pagelle, senza interrogazioni né programmi che puzzano di vecchio. Una scuola dove si legge il giornale, si fa scrittura creativa, si impara a insegnare, si studiano le lingue straniere per comunicare con gli altri (e non per parlare speditamente dei castelli della Loira). È possibile imparare a far scuola così, portare questa scuola nella scuola che conosciamo?
Non so rispondere a queste domande. Non so immaginare la scuola di domani. Ma so che saremo noi a farla, noi come maestri, noi come allievi. E so che questo testo ci fa toccare con mano cosa siano l’amore per lo studio e l’amore per l’insegnamento. Per questo non possiamo non leggerlo e poi lamentarci se le cose non vanno. 


Per saperne di più:




mercoledì 17 settembre 2014

Il self-publishing non è per tutti! Come auto-pubblicarsi nell'era digitale. Di Francesca Carabini

«Essere un autore indipendente non significa essere estroversi, ma significa avere la curiosità per provare, l’umiltà per imparare e la volontà di condividere. E, cosa più importante di tutte, divertirsi».


Voltata l’ultima pagina di questo eBook, viene voglia di mettersi le mani nei capelli e gridare (con qualche reminiscenza di catechismo): «Perché mi hai abbandonato?». Perché mi abbandoni a me stessa nell’oceanomare del Web, infimo gamberetto nell’infinito krill degli autori indipendenti sul mercato? Resta con me ancora un poco, perché possa capire uno per uno gli errori commessi, raddrizzare la rotta e saltare finalmente sulla cresta dell’onda lunga del self-publishing. «Ma no» dici tu. «Il mio lavoro è concluso. In stiva hai tutto ciò che ti occorre per una felice navigazione. E, se le scorte non bastassero, ti ho dato gli indirizzi necessari per procurartene di nuove. Adesso getta l’ancora e salpa». Già, la barca è responsabilità mia. Eppure, come mi sentivo più sicura in tua compagnia.

Quello della Carabini è un manuale molto prezioso per chi, come me, si sia confrontato almeno una volta con le sfide del self-publishing: autori emergenti, fiaccati dai rifiuti dell’editoria tradizionale, o anche scrittori navigati, che vogliano ora acquisire il completo controllo del proprio lavoro. In poche parole, self-made-writers che vedono nell’auto-pubblicazione un canale efficace per raggiungere la nicchia di pubblico a cui mirano e non sono spaventati dalle responsabilità che questo comporta.

Alla base del libro sta un interrogativo fondamentale: cosa fa di un testo auto-pubblicato (per esempio, un eBook distribuito su Amazon) un testo di successo? Come spiccare nell’universo in continua espansione dei testi auto-pubblicati e farsi trovare dai lettori a cui ci rivolgiamo? Non è facile, la Carabini ce lo dice senza giri di parole. (Non) è per tutti. Il self-publishing, infatti, richiede da parte dell’autore un coinvolgimento senza limiti: dalla stesura di un testo di qualità alla creazione di una community di lettori, dalla copertina alle strategie di marketing, e molto altro. Compiti che, nell’editoria tradizionale, sono distribuiti tra un gran numero di individui, spettano ora tutti (ma non esclusivamente) all’autore che si auto-pubblica. Perché non esclusivamente? Perché (e questo è uno dei punti centrali) si deve essere abbastanza umili da chiedere aiuto: coinvolgere lettori online, contattare persone che possano occuparsi dell’editing, dei grafici per la copertina… Ma sempre con la consapevolezza che, di fronte al prodotto finito, l’autore è il solo responsabile. Se non abbiamo fatto abbastanza per il libro, beh, è soltanto colpa nostra.

Il testo della Carabini rappresenta un ottimo vademecum sia per quanti conoscono già il self-publishing sia per coloro che si avvicinano all’argomento per la prima volta. Per i primi, sarà l’occasione di trovare conferme o di individuare le proprie mancanze. Per i secondi, sarà un fondamento imprescindibile. Particolarmente interessante l’idea di disseminare nel testo link e rimandi di approfondimento, che trasformano un libro all’apparenza conciso in uno continuamente espandibile.


Costituisce un valore aggiunto l’utilizzo che la stessa autrice ha fatto del self-publishing per condividere le proprie ricerche. Il suo metodo di lavoro e il suo esempio, infatti, sono per il lettore un buon modello da seguire. La citazione con cui si apre la recensione fotografa perfettamente l’entusiasmo con cui la scrittrice ha curato questo progetto e che sa trasmettere alle proprie pagine. E pure ai suoi lettori davanti a una tazza di caffè… ma questa è un’altra storia.
Detto ciò, vi lascio con qualche citazione che ho trovato di particolare ispirazione e che ho piacere di condividere con voi:

Se non sanguina non porta da nessuna parte. La maggior parte delle persone non sa scrivere. Se una libreria dispone di 10.000 libri, probabilmente 9990 saranno scritti male e saranno noiosi. Come si fa allora a emergere? Sanguinando. Cosa vuol dire? Non ho idea di cosa significhi per te. Il tuo sangue porta con sé disagi diversi rispetto ai miei. Infetta i tuoi lettori con qualsiasi disagio tu abbia. (James Altucher)

Devi coltivare i tuoi lettori ogni giorno della tua vita. (Francesca Carabini)

La vita online è esattamente la stessa che offline. Significa interagire con le persone esattamente come lo si farebbe al di fuori. Le persone vogliono connessioni reali, persone reali. Non avatar di se stessi in cerca di occasioni da sfruttare.
L’influenza si costruisce distribuendo valore con onestà. (Francesca Carabini)

Siate voi stessi. Non perdete di vista quello che realmente siete. Non abbiate paura di confrontarvi con la vostra inadeguatezza e con tutti gli aspetti che fanno parte di voi. (Hugh Howey)

La migliore promozione è scrivere un altro libro. Non c’è niente di più importante. (Hugh Howey)







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