martedì 23 febbraio 2016

Sette minuti dopo la mezzanotte, Patrick Ness

«Le storie sono fra tutte le cose le più selvagge, tuonò il mostro. Le storie inseguono, predano e mordono».


 A un paio di settimane di distanza dal termine di questa lettura, mi rammarico di non aver scritto un rigo di commento. In realtà, questo romanzo di Patrick Ness merita più di un apprezzamento positivo. Innanzitutto per la delicatezza mai banale con cui affronta il tema della malattia di una persona cara, con grande sincerità e senza l’urgenza melodrammatica di trasformare il lettore in una valle di lacrime. L’ho trovata una scelta rispettosa e onesta.

Il protagonista, Conor, sa guadagnarsi la simpatia di chi legge, perché risulta ben delineato, complesso e, fino alla fine, indecifrabile. Il segreto che il bambino nasconde non è poi un colpo di scena, ma una conclusione naturale: non un fuoco d’artificio nella trama, quanto piuttosto un fiume che sfocia lento e fangoso ad estuario. È una bella vista.

Conor affronta da qualche tempo la malattia della madre, assistendola passo passo nelle cure. Questa assistenza e la condizione “speciale” di lei hanno però finito per emarginarlo, incastrandolo in una bolla di “specialità” – un velo di pietà attraverso cui tutti gli altri hanno cominciato a guardarlo, e a evitarlo di conseguenza. A scuola, il suo unico contatto rimasto è il bullo che lo ha preso di mira, a cui Conor si aggrappa come per avere la rassicurazione di esistere. Tutte le notti Conor fa un incubo, ma ecco che arriva una notte speciale: sette minuti dopo la mezzanotte, il tasso davanti casa sua prende vita e annuncia di avere tre storie da raccontargli, in cambio di una quarta, che sarà Conor a narrare. È qui che Ness fa del suo meglio, impedendo che l’albero scada nello stereotipo del vecchio saggio e che le storie siano bonarie favolette moraleggianti. Sia l’albero sia le storie raccontate possiedono un attraente cuore nero, che rende il romanzo davvero peculiare.

Regalerei questo libro a persone che stanno vivendo esperienze simili a quella di Conor. Credo che le parole di Ness possano, se non lenire il dolore, almeno far sentire meno soli.


Nessun commento:

Posta un commento