giovedì 1 dicembre 2011

Alice nel paese delle meraviglie, Lewis Carroll



“Così rimase seduta con gli occhi chiusi, quasi credendosi nel Paese delle Meraviglie, pur sapendo che sarebbe bastato riaprirli per ritornare alla grigia realtà.”

Quand’ero bambina, c’era un unico cartone della Disney che non guardavo mai con piacere. E questo era, non a caso, Alice nel Paese delle Meraviglie. Mia sorella ed io ne eravamo terrorizzate. I fiori pettegoli, la Regina di Cuori, la storia delle Ostrichette. La storia delle Ostrichette! Ma dico, ve la ricordate?
Avevo già letto questo libro alle scuole elementari, ma non ne avevo un chiaro ricordo. Ho visto il film di Tim Burton, che ha inspiegabilmente tratto da una storia eversiva e pirotecnica una sciapa minestrina fantasy.
E così, dopo tanti anni lontana da Alice, qual è il mio finale bilancio su di lei?



Alice nel paese delle meraviglie è un romanzo che si presta a molteplici livelli di lettura. Lo si può leggere come una pietra miliare del fantastico e della letteratura per l’infanzia, come un codice matematico cifrato, come un banchetto per gli appassionati di psichiatria, come un trattato di semiotica.
Oppure potete leggerlo alla luce della biografia di Charles Lutwidge Dodgson, meglio noto come Lewis Carroll, reverendo e matematico e precettore. E pedofilo, aggiungeranno i bene informati. Pedofilo, certo. E tanto vale spezzare una lancia in merito o meglio tagliare la testa (come direbbe la Regina di Cuori) al toro. Non sono qui per fare l’apologia di Lewis Carroll: non ho gli strumenti né la conoscenza necessaria. Eppure questa figurina così patetica, questo matematico timido e balbuziente che andava in giro per le spiagge inglesi portandosi dietro una borsa di caramelle sembra messo lì apposta per suscitarmi tenerezza. Occorre precisare che le caramelle non erano per lui. Andava in giro con le caramelle per attirare le bambine, per farsele amiche e poi immortalarle nude in pose lascive nell’obiettivo di una macchina fotografica. Non propriamente un uomo che vorreste come baby-sitter.
Il problema di noi moderni è che abbiamo sempre la pretesa di essere nel giusto e che, quando guardiamo al passato, vogliamo farlo con gli occhi dei moderni. Ci sono alcuni casi in cui questo metodo risulta applicabile, altri in cui riesce fuorviante. Non so dire se questo sia il caso nel nostro Carroll e non posso esprimere alcun giudizio in merito. Mi limiterò a trascrivere un passaggio tratto dall’introduzione al mio volume, che considero tutto sommato illuminante:

“Uno sguardo troppo ancorato alla contemporaneità e alla cronaca nera rischia di sviarci da una piena comprensione di questa eccentricità. È infatti l’Età Vittoriana nel suo complesso che intrattiene con il bambino, e con la bambina in particolar modo, rapporti ambigui e sostanzialmente insani. Nell’anno di pubblicazione di Alice migliaia di fanciulli inglesi sono costretti a lavorare in fabbrica per quindici ore al giorno […]. Nell’austera Londra Vittoriana si contano circa 120.000 prostitute, di cui una buona percentuale fra i dodici e i quattordici anni. Le bambine delle classi più abbienti si sposano spesso in età giovanissima (dai dodici in su) con uomini più vecchi di almeno dieci anni.”

Tanto per intenderci, siamo nell’Inghilterra in cui gli orfanelli di Dickens convivono con i giovinastri irretiti da Oscar Wilde. In un contesto simile una figura come Lewis Carroll non appare poi così perversa e trasgressiva. Per approfondimenti, rimando ad Antonia Byatt e al suo “Il libro dei bambini”, che ben inquadra il rapporto tra adulti, bambini e letteratura per l’infanzia nell’età vittoriana.
A prescindere da questo, che Carroll fosse un pedofilo (letteralmente, “amante dei bambini”) a noi moderni non dovrebbe importare granché. Da quando valutiamo il valore letterario di un’opera in base alla moralità del suo artista? Se Hitler avesse scritto un grande romanzo, una cosa del tipo La montagna incantata, forse che non lo leggeremmo perché scritto da Hitler? E se Padre Pio fosse stato un romanziere mediocre, dovremmo valutarlo in base alle sue competenze di scrittore o alle sue doti umane? Questo per dire che all’affermazione “Carroll è un gran romanziere” è superfluo e irrilevante far notare “Sì, ma era un pedofilo”. Dire “era un pedofilo” è come dire “era basso”, “era avaro”, “andava a letto con tutte”. Insomma, in quale mondo io lettore sono chiamato a valutare un’opera in base alla vita privata del suo autore?


Ora che abbiamo spezzato le lance e tagliato le teste, possiamo andare avanti più distesamente. Siccome sono piuttosto ignorante di letteratura fantastica e ho un’intelligenza tutta linguistica e per niente logico/matematica, l’aspetto su cui cercherò di concentrarmi è appunto quello linguistico/semiologico. Si usa dire che Alice nel paese delle meraviglie sia un capolavoro del nonsense. “Benché il nonsense venga spesso inteso come mancanza di senso, in realtà esso è solo negazione di senso, e presuppone dunque la sua presenza” (cit. da blog).
Il nonsense non è dunque sinonimo di demenziale né di insensato. Il nonsense è il rovesciamento del senso corrente. Lewis Carroll fa questo a tutti i livelli, sovverte tutte le regole del mondo conosciuto: si mettono in discussione le leggi della fisica, si discutono quelle dell’educazione e del buonsenso, si ribaltano le pratiche linguistiche e le pratiche giudiziarie. Il mondo in cui Alice si muove è una dimensione anarchica e sovversiva, priva di una geografia ben definita: andando a destra si arriva dalla stessa parte che andando a sinistra, prima si era in una stanza circolare e d’un tratto si galleggia sul pelo di un oceano, nei tronchi degli alberi si aprono porte verso l’interno. Non si tratta neanche di uno spazio labirintico. Si tratta decisamente di un non-spazio, uno spazio onirico in cui si muovono personaggi onirici, o meglio apparizioni. “Alice non va dove la porta il cuore: va dove la porta il caos” è il felice commento della mia introduzione.
I personaggi di questo romanzo sono così arcifamosi che non ci spenderò neanche mezza parola. Il Coniglio Bianco, il Bruco, il Gatto del Chesire, il Cappellaio Matto, la Lepre Marzolina, la Regina di Cuori sono ormai entrati nel nostro immaginario collettivo. Scene come Alice che si dilata e si restringe, la partita di cricket con i fenicotteri per mazze e i porcospini per palle, i giardinieri che dipingono di rosso un rosaio bianco, il tè senza fine, il sorriso del Gatto che compare a mezz’aria, tutte queste immagini sono così vivide e parlano alla nostra memoria di lettori e di bambini. Vederle scritte sulla pagina non è una sorpresa. Eppure dovrebbe esserlo. Eppure dovrebbe esserlo. Lewis Carroll è l’uomo, è l’inventore di questo caleidoscopio della fantasia. Nella nostra testa abbiamo tutti un cassettino con scritto “Lewis Carroll”, eppure lo apriamo senza pensarci mai. Perché, se ci pensassimo, non potremmo fare a meno di chiederci: da quale abisso ha attinto tutto questo, questa galleria di figure e di situazioni ormai divenute luoghi comuni, ormai divenuti storia?


Ho detto che avrei speso qualche parola a proposito della rivoluzione linguistica in Alice. L’incomunicabilità tra i personaggi è uno dei punti chiavi di questo romanzo. Alice fa una domanda e ottiene una risposta assolutamente inappropriata. Alice fa una domanda e non ottiene risposta. Alice dice una cosa e questa viene mal interpretata. Alice dice una cosa e questa viene interpretata alla lettera. Il presupposto di questa insormontabile barriera linguistica è ciò che fornisce a Carroll il trampolino di lancio verso mirabolanti giochi di parole. Così, se siete tutti bagnati, potete provare a farvi raccontare una storia molto “seccante”, ma non è detto che vi asciughiate. Se volete dire “sii quel che vuoi sembrare” potete anche usare una perifrasi del tipo “non credere mai di non essere diversa da quello che potrebbe sembrare agli altri che tu fossi o potessi essere se fossi diversa da quello che saresti stata se fosse loro sembrato che eri diversa”. Se avete ammazzato il tempo, è probabile che il vostro orologio smetta di funzionare.
Un esempio per tutti:

A queste parole il Cappellaio spalancò gli occhi, ma tutto quello che disse fu: « Che differenza c’è fra un corvo e uno scrittoio? »
« Oh, finalmente ci si diverte » pensò Alice. « Sono contenta che facciano il gioco degli indovinelli… Forse lo so » aggiunse ad alta voce.
« Vuoi dire che pensi di sapere qual è la risposta? » disse la Lepre Marzolina.
« Proprio così » disse Alice.
« Allora dovresti dire quello che pensi » continuò la Lepre Marzolina.
« Lo faccio » rispose subito Alice « o almeno… penso quello che dico… che poi è la stessa cosa, no? »
« Proprio per niente! » disse il Cappellaio. « Sarebbe come dire che ‘Vedo quello che mangio’ è la stessa cosa di ‘Mangio quello che vedo’! »


Volevo lasciarvi con questo passaggio, che poi è il mio preferito:
« Puoi dirmi da che parte devo andare? »
« Tutto dipende da dove vuoi arrivare » disse il Gatto.
« Non importa molto dove... » disse Alice.
« Allora non importa neanche che direzione prendi » disse il Gatto.
« ...mi basta arrivare da qualche parte » soggiunse Alice a mo' di spiegazione.
« Beh, se cammini abbastanza » disse il Gatto « da qualche parte arrivi di sicuro. »
Questo non si poteva negare; così Alice provò con un'altra domanda. « Chi abita qui attorno? »
« Da quella parte » disse il Gatto agitando la zampa destra « abita un Cappellaio, e da quella » disse agitando la sinistra « una Lepre Marzolina. Vai pure da chi vuoi: sono tutti e due matti. »
« Ma io non voglio andare fra i matti » osservò Alice.
« Non hai molta scelta » disse il Gatto « qui siamo tutti matti. Sono matto io. Sei matta tu. »
« Come fai a dire che sono matta? » disse Alice.
« Devi esserlo » disse il Gatto « altrimenti non saresti venuta qui. »


A distanza di 15 (?) anni da quando ho conosciuto per la prima volta Alice nel paese delle meraviglie, ne ho ora un’idea abbastanza precisa. Alice è come una grande caramella rosa shocking messa nella mano della piccola Alice Liddell, che è poi il motivo per cui la storia esiste. Alice è la caramella più grossa e succosa del nostro inquietante amico Do-Do-Dodgson. Alice è una caramella che ancora ci viene tesa attraverso lo spazio e il tempo per immortalare le nostre facce sorprese in una smorfia divertita.
         

Di Chiara Pagliochini

5 commenti:

  1. Il gioco è il CROQUET, non il CRICKET!

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  2. Oh mio Dio, ho il sospetto che tutto ciò sia essenziale ai fini dell'analisi!

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  3. Tra tutte le "riflessioni libere" che leggo in giro per la rete sui libri che preferisco, che ho concluso o che mi attingo a leggere, questa resterà tra le più illuminanti...Complimenti!

    Valentina

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  4. Ciao Chiara, la tua riflessione mi è davvero piaciuta molto, tanto che ho deciso di trarne spunto per la mia tesina di maturità! Se ti va potremmo farci una chiacchierata per e-mail o su facebook (se lo hai) in modo che posso ricavare altre informazioni sull'argomento!

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