« Il narratore è l’uomo che potrebbe lasciar
consumare fino in fondo il lucignolo della propria vita alla fiamma misurata
del suo racconto ».
Se pensiamo alla parola “narrazione”, oggi viene
naturale associarla alle parole “romanzo” e “romanziere”. Non così per
Benjamin, che individua anzi nel romanzo l’avversario e quasi il soppiantatore
della narrazione. Il termine “narrazione” ha per il pensatore tedesco un’accezione
molto circoscritta: narrazione è l’atto di raccontare storie – proprie ma
soprattutto altrui – per una comunità di ascoltatori, con un fine morale o di
consiglio, « in modo solido, utile e
irripetibile ». A sua volta, il narratore non si identifica con lo
scrittore di romanzi e neanche con la voce narrante di un romanzo, ma con la persona
il cui mestiere è quello di raccontare storie – mestiere antico quanto il fuoco
e la paura del buio e del tutto artigianale. Il narratore è un giusto, un
saggio, un uomo che raccoglie esperienze per rimetterle in circolo e che è in
grado di fare da tramite tra l’uomo e il mondo, tra la natura e le sue
creature. In questo senso, il narratore benjaminiano si potrebbe quasi
considerare uno sciamano.
Diversamente, il lavoro dello scrittore si
svolge nell’isolamento e il suo fine, attraverso il romanzo, è la ricerca di un
senso per la vita. « Scrivere un romanzo
significa esasperare l’incommensurabile nella rappresentazione della vita
umana. Pur nella ricchezza della vita e nella rappresentazione di questa
ricchezza, il romanzo attesta ed esprime il profondo disorientamento del
vivente ».
Ma non bisogna pensare a uno iato così totale
tra narrazione e romanzo. Infatti l’istinto di raccontare storie –
contrariamente a quanto Benjamin pensava e scriveva nel 1936 – non è mai morto,
ma anzi serpeggia in forme diverse dall’oralità. Romanzi, appunto, ma anche
informazione, cinema, serie tv, politica… Lo stesso nazismo – che incombeva
alle spalle di Benjamin – è ingrassato di narrazioni. Proprio per questo,
forse, Benjamin ci guida alla riscoperta del senso più puro del narrare. Se narrare
è un atto potente e quasi magico, allora il narratore dovrà assumersi la
responsabilità morale delle proprie narrazioni: egli dovrà essere davvero
giusto e saggio, oppure soltanto un criminale. Implicitamente, Benjamin ci
mette in guardia dai falsi narratori della nostra epoca.
Molte note di merito per questa edizione
Einaudi. Le annotazioni e il commento di Alessandro Baricco – che ha
frequentato il saggio di Benjamin per molti anni – sono preziosi per la
comprensione del testo e offrono anche una piacevole distrazione. La consiglio.
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