sabato 13 aprile 2013

Il giardino



Il più caro tra i luoghi del mondo
(tra quelli che ho visto, pochi
ma tra i non visti saresti lo stesso il cantone
dorato), giardino di questa casa
che non possiedo, che lascerò forse
un giorno chissà se lontano.
Tra tutti i luoghi più dolce è tornare
a te nell’aprile dolcissimo,
al profumo macero delle margherite,
al giallo balzo dei denti di leone,
affondare il viso nei cespi di trifoglio
e seguire di corolla in corolla
la traiettoria delle vespe.

Il ciliegio è curvo sotto il peso dei boccioli
superbi e bianchi, gonfi come cotone.
Ne viene un odore spesso di zucchero,
quasi uno stordimento che vorresti imbottigliare
per mandarlo in un pacco a chi ami
lontano. Ma non c’è recipiente
che riesca a contenerlo
tranne questo, misero, della memoria
(o uno più falso, che fa di memoria
verso).

Grazie a te rinasce la poesia nel mio cuore
ogni anno come se sbocciasse
insieme al prato, al ciliegio, al cicaleccio
chiassoso degli insetti.
In te, in seno alle margherite,
ho viaggiato di rigo in rigo senza muovermi,
solo un libro in grembo, chiuso
su petali essiccati, custoditi per sempre
nel segreto tra due pagine
(Ivan Karamazov e Natasha Rostova
comunicano per il portale nascosto
di un fiore).

Lasciarti sarà un dolore non diverso
che tastare il vuoto di una persona scomparsa
e capire che si sarà anche noi quel vuoto,
si morirà e allora a che è valso
soffrire. Lasciarti sarà salutare
la persona che avrei voluto essere,
orgogliosa e fulgida quanto te,
mettere una pietra sopra il fallimento
di un ideale mai raggiunto.
Lasciarti sarà accettare che altri
ti calpestino, accettare le peste
distratte, gli steli spezzati, l’incuria
di chi non ti amerà come ti ho amato io.
Lasciarti sarà permettere
che si falcino i tuoi fiori senza un pianto,
che nessuno soffra lo scempio del decespugliatore,
che non ci si vergogni di reclamare
il possesso impossibile della primavera.

Con che cuore partire da te, separarmi?
Che consolazione in altri luoghi?
Nei miei occhi che ti guardano c’è più bellezza
di quanta se ne possa ricreare.
E ti voglio così bene che desidero per te
un destino di libertà non imbrigliata.
Cadrà la mano che ti falcia,
cadrà la pretesa, il dono di nominare
che fu dato in quel Giardino per errore
(dono tremendo, come carezza a una bestia feroce).
Cadrà l’umana supremazia non meritata.
E tu, non regolamentato, non misurato
neanche da versi come questi, avrai il dominio,
tu solo, degli steli, che toccheranno il cielo
se vorrai, basta volerlo, è una Babele
cui millenni di schiavitù ti danno accesso.
E corolle grandi come ombrelli e farfalle-ventagli,
rami che uniscono l’alba al tramonto,
tu solo deciderai di quanta bellezza fregiarti
e io ti giuro, non sarà mai abbastanza.

Di Chiara Pagliochini 

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