Il
più caro tra i luoghi del mondo
(tra
quelli che ho visto, pochi
ma
tra i non visti saresti lo stesso il cantone
dorato),
giardino di questa casa
che
non possiedo, che lascerò forse
un
giorno chissà se lontano.
Tra
tutti i luoghi più dolce è tornare
a
te nell’aprile dolcissimo,
al
profumo macero delle margherite,
al
giallo balzo dei denti di leone,
affondare
il viso nei cespi di trifoglio
e
seguire di corolla in corolla
la
traiettoria delle vespe.
Il
ciliegio è curvo sotto il peso dei boccioli
superbi
e bianchi, gonfi come cotone.
Ne
viene un odore spesso di zucchero,
quasi
uno stordimento che vorresti imbottigliare
per
mandarlo in un pacco a chi ami
lontano.
Ma non c’è recipiente
che
riesca a contenerlo
tranne
questo, misero, della memoria
(o
uno più falso, che fa di memoria
verso).
Grazie
a te rinasce la poesia nel mio cuore
ogni
anno come se sbocciasse
insieme
al prato, al ciliegio, al cicaleccio
chiassoso
degli insetti.
In
te, in seno alle margherite,
ho
viaggiato di rigo in rigo senza muovermi,
solo
un libro in grembo, chiuso
su
petali essiccati, custoditi per sempre
nel
segreto tra due pagine
(Ivan
Karamazov e Natasha Rostova
comunicano
per il portale nascosto
di
un fiore).
Lasciarti
sarà un dolore non diverso
che
tastare il vuoto di una persona scomparsa
e
capire che si sarà anche noi quel vuoto,
si
morirà e allora a che è valso
soffrire.
Lasciarti sarà salutare
la
persona che avrei voluto essere,
orgogliosa
e fulgida quanto te,
mettere
una pietra sopra il fallimento
di
un ideale mai raggiunto.
Lasciarti
sarà accettare che altri
ti
calpestino, accettare le peste
distratte,
gli steli spezzati, l’incuria
di
chi non ti amerà come ti ho amato io.
Lasciarti
sarà permettere
che
si falcino i tuoi fiori senza un pianto,
che
nessuno soffra lo scempio del decespugliatore,
che
non ci si vergogni di reclamare
il
possesso impossibile della primavera.
Con
che cuore partire da te, separarmi?
Che
consolazione in altri luoghi?
Nei
miei occhi che ti guardano c’è più bellezza
di
quanta se ne possa ricreare.
E
ti voglio così bene che desidero per te
un
destino di libertà non imbrigliata.
Cadrà
la mano che ti falcia,
cadrà
la pretesa, il dono di nominare
che
fu dato in quel Giardino per errore
(dono
tremendo, come carezza a una bestia feroce).
Cadrà
l’umana supremazia non meritata.
E
tu, non regolamentato, non misurato
neanche
da versi come questi, avrai il dominio,
tu
solo, degli steli, che toccheranno il cielo
se
vorrai, basta volerlo, è una Babele
cui
millenni di schiavitù ti danno accesso.
E
corolle grandi come ombrelli e farfalle-ventagli,
rami
che uniscono l’alba al tramonto,
tu
solo deciderai di quanta bellezza fregiarti
e
io ti giuro, non sarà mai abbastanza.
Di Chiara Pagliochini
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