lunedì 1 agosto 2011

L'agenzia dei suicidi. Cap. 2



L’Agenzia Persefone si trovava in Via del Filo, una traversa del corso. Davanti aveva una piazzetta di mattoni rossi, con la statua di un ragazzino seduto che spenzolava le gambe da un muretto. Il ragazzino era voltato di spalle, quando arrivai, e rimase così anche in seguito.
Due bambini abbronzati giocavano a pallone sulla piazza, sudando nella canicola del primo pomeriggio. Uno gridò una bestemmia. Mi voltai seccato, pronto a rimproverarli, ma la schiena del ragazzino di ottone mi fermò. Se non seccava lui che li subiva tutti i giorni, che diritto avevo io di protestare?
L’annuncio sul giornale era nuovo, ma sembrava che l’agenzia fosse lì da sempre. La facciata era incastonata nell’intonaco proprio come le altre né pareva che gli altri edifici la scansassero. Di singolare c’era solo una targhetta lustrata. La porta a vetri luccicava sotto il sole, come se fosse stata appena lucidata, e creava un bizzarro contrasto con la vetrina impolverata della vicina macelleria. L’ingresso era rialzato di tre gradini.
Erano ancora le due meno cinque. Lanciai un’occhiata alla piazzetta, i bambini facevano un gran baccano. Una vecchia si era affacciata alla finestra gridando che si voleva riposare. Loro facevano le linguacce. Il pallone ruzzolò fino ai miei piedi, io lo calciai indietro, la vecchia mi fissò e scosse la testa in segno di disapprovazione. Voleva che lo mangiassi? Sollevai le spalle, come a dire, pazienza. Se non si secca il ragazzino, non seccarti tu, avrei voluto precisare.
Finalmente mi decisi a suonare il citofono. Rispose una voce di ragazza. Dissi il mio nome. La porta a vetri si aprì dall’interno con un cigolio di materie plastiche.
La ragazza era giovane, biondina e ben vestita.
« Iris sarà subito da lei » mi disse « Nel frattempo voglia accomodarsi. »
Riprese posto dietro la scrivania, tra il pc e un telefono, senza togliermi gli occhi di dosso.
Di colpo mi rividi in una sala come quella. Avevo otto anni e accompagnavo la mamma dall’estetista. Lo stesso divano nero di pelle, lo stesso basso tavolo di cristallo, riviste patinate disposte a ventaglio. C’era un tocco femminile in tutto. Mancavano soltanto l’odore di cera e il lungo corridoio con le cabine e i letti solari, poi la mamma che mi camminava incontro con la barbizza[1] rossa.
Mi sedetti e allungai la mano verso il giornale locale, incastrato tra Panorama e Vanity Fair. Volevo assicurarmi che l’annuncio ci fosse ancora, ma la voce della signorina mi richiamò. Alzai la testa, chiedendomi dove avessi sbagliato.
« Iris la aspetta » disse invece, sollecita, e con un cenno mi indirizzò lungo il corridoio.
« La prima porta a sinistra » aggiunse, la voce adamantina.
Io afferrai la maniglia che mi indicava, sentii le dita che aderivano, la abbassai. Quando fui dentro, capii che era tutto un altro mondo.

Iris sedeva a un tavolo di legno chiaro, forse noce. Lo schienale della sedia era severo e diritto. Alle sue spalle c’era una finestra e intorno, senza una logica apparente, diversi poster di paesaggi, grandi prati di fiori purpurei, strade ferrate, una landa a perdita d’occhio che sembrava l’Irlanda, poi il mare e irte scogliere e ancora un enorme cancello dorato. Vidi tutto questo prima di vedere Iris, perché Iris era bassa e d’aspetto discreto.
A prima vista, sembrava aver passato la sessantina, ma portava ancora i capelli lunghi, molto lunghi e tutti grigi, raccolti in una treccia buttata sulla spalla destra. Gli occhi erano glaciali e piccoli, il viso contornato da rughe d’espressione. Mi ricordava una prof del liceo, lo stesso sorriso compiaciuto di quando interrogava a Divina Commedia, il gusto per la devastazione. E forse era proprio questo a mettermi spavento.
Ma Iris era più cordiale dell’insegnante di italiano, tanto che si alzò in piedi per stringermi la mano, dita fredde e asciutte. Mi parlò con la stessa voce del telefono, la voce di madre:
« È un piacere, signor Air. »
« Piacere mio » borbottai.
Mi accomodai senza che me lo avesse detto. Era come all’interrogazione.
Iris mi chiese se volessi un tè, un caffè, qualcosa. Rifiutai colla scusa che avevo già mangiato. Non era vero: avevo saltato la pausa pranzo per colpa sua. Quando fu certa che non c’era nulla che volessi, si aggiustò sulla sedia e incrociò le dita sotto il mento. Restò a guardarmi da quella buffa posizione, il sorriso sottile, come se si prendesse gioco di me. O ero io a prendermi gioco di lei?
« Mi racconti, signor Air. Da quanto tempo è cominciata? »
« Cominciata cosa? »
« Non sia indisposto, signor Air. Non è un atteggiamento costruttivo. Questa fase, questo periodo difficile da quant’è cominciato? »
Il sorriso e la posizione delle mani non mutarono. Doveva essere abituata a casi come il mio.
« Da quando me ne sono andato a vivere solo, ma anche prima, da sempre. Non è mai stato propriamente…facile » improvvisai.
« Vuol dire che ci pensa da tutta la vita? Nessun avvenimento contingente? Nessuna delusione d’amore o debiti o simile? »
« No, no, da sempre. »
« Allora, signor Air, lei dev’essere un corteggiatore timido. »
« Un corteggiatore…? »
« Timido. È così che vi chiamo io. Corteggiate il suicidio da tutta la vita eppure siete ancora qui. »
« Sui…? »
« Non sia sciocco, signor Air. Io non sono sua madre, può parlare francamente con me. »
Non era mia madre: la cosa mi ferì.
« Il suicidio, certo » mi feci coraggio.
« Ieri sera mi ha detto che ci ha provato. Ma non mi ha detto come. Me lo dica ora. »
« Ieri, ma certo…Certo, io… »
« Signor Air, sappia che io non la giudico in alcun modo. »
« No, certo, lo so. Ci ho provato. Il mese scorso. Il forno… »
« Il forno! È un temerario! Ci vogliono le palle per tenere la testa dentro un forno! E scusi la finezza. »
« Io… »
« E aveva chiuso tutte le finestre! »
« Sì. »
« Per essere un timidone, lei ha spirito d’iniziativa, signor Air. Chi l’ha trovata? »
« Mia-sorella. Mi ha fatto un’improvvisata. »
Mi asciugai la fronte con il dorso della mano. Il sole mi picchiava contro dalla finestra e la testa di Iris sembrava cinta di aureola. Il suo sorriso si estese agli occhi. Luccicava tutta mentre mi chiedeva:
« Hai mai pensato a un bel modo di farlo? Il modo più spettacolare, più poetico che s’immagina. Per molti corteggiatori è così. È venuta una ragazzetta la settimana scorsa ed ha già le idee così chiare. Oh che idee, signor Air, mi creda, sarebbero capaci di buttarla sottosopra. E lei al suo modo ha pensato? »
Scossi la testa. Risposi che non ci avevo pensato. In mente mi si aggrovigliavano confuse idee di suicidi, il gioco dell’impiccato, il bungee jumping. Decisi che non erano affatto poetiche e restai zitto.
« Deve sapere » riprese Iris, ora in tono lento e cadenzato « che noi dell’agenzia siamo qui per questo. Noi aiutiamo gente come lei a trovare il suo modo, a trovare la poesia. Noi vi aiutiamo a capire, a cercare la lucidità oltre il baratro. »
Per questo era tutto così lustro, compresi.
« Voi orchestrate…suicidi? » domandai.
« Oh no, noi mettiamo a disposizione il teatro. L’orchestra è vostra. »
« Ma è…legale? Non c’è rischio di plagio? »
« Lei si sente plagiato? »
« Io…no. »
« Mi creda, signor Air, chi non soffre non corre il rischio di leggere quel nostro annuncio. Chi non soffre e lo legge non se ne ricorda. E solo i più speciali, i più convinti arrivano a noi. »
Annuii, dandole ragione. Solo i più speciali, i più convinti.
« Ma non c’è comunque il rischio…che qualcuno parli? »
« Parli? E perché dovrebbero? Son venuti da noi in cerca di aiuto. »
« Non c’è mai stato nessun caso di…diserzione? »
« Nessuno. »
« Vuol dire che… »
« Oh, no! » sorrise Iris e separò le mani, si portò la treccia dall’altro lato « Non tutta la gente che viene qui s’ammazza! Ci sono di quelli che cambiano idea, che sbirciano l’abisso e ne hanno abbastanza. È una libera scelta. Ma non c’è nessuno che se ne vada scontento. »
Mi sciolsi in un sospiro e allentai il nodo della cravatta. Era spaventosamente caldo. Iris mi allungò un foglio con delle cifre. Glielo presi e cercai di cavarci qualcosa di sensato, senza riuscirci. Parole e numeri, era troppo caldo.
« Sono trenta euro a lezione » spiegò.
« Lezioni? »
« Lezioni di suicidio, pratiche e teoriche. No, non faccia così » avevo storto la bocca « Dovremo pur mantenerci in qualche modo, non siamo mica una società di beneficenza! E poi i prezzi sono competitivi. Provi a iscriversi in palestra! »
Annuii ancora e finsi di leggere.
« Ci sono anche i cento euro del trattamento finale. »
« Trattamento…? »
« La fine. Morte. Vuoto. Caput. »
Mi spiegò che potevo prenotare fin da ora. Sembrava che ai clienti facesse comodo avere una scadenza. Oppure potevo frequentare le lezioni che volevo, fare le cose con calma, pensarci bene.
« La quota per le singole lezioni la può versare volta per volta. Ma per il trattamento finale…meglio il pagamento anticipato. Sa com’è, dobbiamo tutelarci in qualche modo. »
« Niente trattamento finale…per ora. »
« Perfetto. Può cominciare da domani, se vuole. Ogni martedì e venerdì, dalle ventuno e trenta. Abbiamo notato che questi orari combaciano con… »
« Sì, sono l’ideale. Una bella scuola serale! » esclamai, stentando a credere al mio tono.
« Apprezzo il suo entusiasmo. È una via verso la guarigione. »
« La salute? »
« La morte. »
« Certo. »
« Domani sera lezione di harakiri col nostro esperto giapponese.»
Presi fiato per chiederle se scherzasse. Capii che non scherzava. Feci un sorrisone.
Nel salutarmi, Iris mi tenne a lungo la mano e mi guardò negli occhi. Dovetti arrossire, perché lei mi carezzò con lo sguardo e disse, di nuovo mia madre:
« Si ricordi. Lei è importante. Le sue decisioni devono essere rispettate. »
Tempo dopo Iris mi disse che aveva sempre saputo che mentivo.
« E perché mi ascoltava? » le chiesi.
« Perché lei aveva bisogno di essere ascoltato » rispose, con lo stesso enigmatico sorriso.

Quando uscii dall’ufficio e la porta e l’altro mondo mi si chiusero alle spalle, trovai la sala d’aspetto occupata. Una ragazza aveva preso il mio posto sul divano. Teneva gli occhi fissi su un giornale, ma si vedeva che non stava leggendo. Sembrava piuttosto voler fugare la possibilità di un colloquio qualsiasi.
Io avrei voluto sorriderle e dire, non preoccuparti che Iris è una mattacchiona, ma la ragazza non alzò neanche lo sguardo. Anzi, lo alzò, una frazione di secondo, giusto il tempo di registrare la presenza, poi subito giù, verso il giornale, il pavimento, il dentro. Avrei detto che le facevo paura.
Salutai la signorina della scrivania e lei rispose tutta gentile. Mi chiese se il colloquio era andato bene. Splendidamente! La ragazza continuava la sua farsa col giornale.
« A domani, allora! »
« A domani, signor Air! »
La ragazza senza nome e senza faccia drizzò le orecchie. Sapevo che smaniava dalla voglia di osservarmi, ma non osava. Le voltai le spalle e solo allora sentii i suoi occhi pizzicarmi gentilmente la nuca. Quando fui certo che mi aveva guardato abbastanza e la mia vanità fu soddisfatta, aprii la porta a vetri, il suono di materie plastiche. Un pallone mi ruzzolò di nuovo tra i piedi. Lo calciai indietro, la vecchia non c’era più. Osservai la sua parabola nel cielo splendido, si alzava e si alzava, arrivò al culmine, ricadde. Ricadde sulla testa del ragazzino d’ottone. 

Di Chiara Pagliochini


[1] Popolare per “mento”

5 commenti:

  1. Ti seguo, non so se desidero o meno che il protagonista muoia. Nel senso, a lungo andare, ora è ovvio che voglio nuove avventure. Si lega perfettamente al romanzo che ho letto giusto ieri, di Palahniuk, so che non sei una sua sostenitrice, ma diavolo, qualcosa di lui l'ho trovato in questo tuo scritto, complimenti :) Alla prossima!

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  2. Non so dire quanto mi fate contenta. Ho un sorriso idiota a trentadue (?) denti. Questo incoraggiamento è molto molto importante per spingermi a continuare.
    @M non è tanto che non sia una sostenitrice di Palahniuk, è che proprio non ho letto niente di suo; non posso neanche giudicare

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  3. Lo sto leggendo molto lentamente, causa mancanza di tempo, ma ti assicuro che è ultra-interessante.
    Originale, un'idea smagliante.
    [Non so perchè, ma l'agenzia mi ricorda in qualche modo Vanilla Sky, il film. L'hai visto?]

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  4. Ti ringrazio molto per i complimenti, ma soprattutto per l'attenzione! Vanilla Sky non l'ho visto, ma se ci trovi qualche nesso me lo vedrò. Ho già segnato delle letture "con qualche affinità" da fare mentre scrivo e una volta scritto, per vedere dove è la somiglianza e dove la differenza.

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