domenica 21 agosto 2011

La cinghia intorno al cuore

Il bambino che una volta...Non te l'ho raccontato, vieni, mettiti comoda. Il bambino che a otto anni cercò di uccidersi in cantina - suicidarsi, lo chiamano - con la cinghia sottile e "multiuso" di suo padre. Siccome nessuno gli aveva spiegato come si fa a morire, si strinse la cinghia con forza intorno al cuore, ah, ah, si stese sul pavimento e attese la morte, in silenzio. Tutto questo perché aveva visto un vicino, un certo Surkis, che in canottiera, con la schiena pelosa e una sigaretta in bocca, affogava due gattini in un secchio di latta. Così, tanto per fare. E mentre parlava con il padre del bambino, le bolle salivano. Dopo essere rimasto a lungo sdraiato sul pavimento della cantina, un tempo infinito come non gli era mai successo, vedendo che non era morto, il bambino si alzò e fece ritorno a casa. Si sedette in silenzio, stremato, a cenare con sua sorella e i genitori. Li sentì conversare, fece tutti i gesti di un bambino di otto anni e capì - vagamente, ma capì - che, anche se fosse morto, loro non l'avrebbero mai scoperto. E' lo stesso bambino che a dieci anni lesse Zorba il greco perché un'insegnante che amava aveva parlato del libro con entusiasmo e con le lacrime agli occhi. Lui non aveva mai visto lacrime come quelle, né in un bambino né, tantomeno, in un adulto. Erano lacrime di struggimento, una parola che non conosceva e che non avrebbe mai osato scrivere se non l'avessi scritta prima tu. A casa sua non c'erano libri. I libri sono un ricettacolo di polvere, sono sporcizia. Il loro posto è nella biblioteca della scuola. Allora rubò dei soldi dal portafoglio di suo padre, il portafoglio sacro, e per la prima volta in vita sua andò a comprarsi un libro. Lo lesse e non capì molto. Non capì nulla, a dire il vero, se non che era più bello di quello che conteneva, perché ruggiva di vita e lo chiamava per nome. Nel suo grande entusiasmo lo divorò per intero. Ci mise quasi un anno, lo terminò esattamente il giorno del suo undicesimo compleanno, come segreto regalo a se stesso. 
Non è piacevole, sai. Di nascosto, a prezzo di tremendi mal di pancia che nessuna medicina poteva sconfiggere, finiva una pagina e la tagliava in pezzi piccoli e uguali, che masticava con pazienza e poi ingoiava. Una pagina al giorno, con intervalli di tre ore tra un pezzo e l'altro. Un rito preciso e meticoloso. [...] Trecento e più pagine si masticò, per soddisfare il suo bisogno carnale di parole. 


Che tu sia per me il coltello,
David Grossman


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