domenica 1 marzo 2015

Il contesto, Leonardo Sciascia

« Eccellenza, mi pare che abbiamo abbandonato la pista giusta per seguirne una falsa. Dico per l’assassinio dei giudici ».
Il ministro guardò Rogas con compatimento e diffidenza. Disse « Forse. Ma continuate a seguirla ».


Così, signor Sciascia, ci conosciamo. Ho tanto sentito parlare di lei, ma non avevo mai letto qualcosa di suo. E questo piccolo testo… è un gioiello, una perla rara. Mi dispiace soltanto non abbia scritto qualcosa di più.
È interessante, Leonardo – posso chiamarti Leonardo? – il modo in cui raccogli gli ingranaggi del giallo e li torci fino a farli estranei. Ci sono questi ammazzamenti di giudici, un ispettore… E il colpevole lo scopriamo già a pagina 30. Ma poi la realtà si incastra nel crimine, la realtà criminosa per cui quel crimine è un incidente necessario. L’ispettore ha già scoperto il colpevole? Più veloce di un Poirot, più efficiente di uno Sherlock! Benissimo, ma adesso basta giocare: ci sono altri colpevoli da perseguire, nemici dello Stato su cui possiamo e dobbiamo scaricare fardelli di responsabilità, perché in un paese come il nostro verità e giustizia sono solo etichette da appiccicare a piacimento.
E c’è di più. Individuare un colpevole, il colpevole non è affatto importante. E qui la signora Christie avrebbe un mancamento. Non è importante, perché siamo tutti colpevoli. Nella società di massa non c’è un solo individuo che sia innocente. Anzi, nella società di massa non c’è un solo individuo: la massa è un unico corpo criminale. Per aver ragione della massa criminale, c’è bisogno di uno stato criminale. Uno stato che si auto-conservi attraverso il disprezzo e l’esercizio dell’iniquità, che colpisca nel mucchio, che spari sull’innocente ed elevi il boia al solo scopo di istillare nella massa il senso dell’insensatezza della giustizia e il necessario timore della stessa.
Di fronte alla perversione dell’amministrazione della giustizia, all’ispettore – uomo libero, servente della verità – non resta che adeguarsi al meccanismo. O morire. Ecco che tu scrivi, in un memorabile passaggio,
« Dentro il problema di una serie di crimini che per ufficio, per professione, si sentiva tenuto a risolvere, ad assicurarne l’autore alla legge se non alla giustizia, un altro ne era insorto, sommamente criminale nella specie, come crimine contemplato nei principi fondamentali dello Stato, ma da risolvere al di fuori del suo ufficio, contro il suo ufficio. In pratica, si trattava di difendere lo Stato contro coloro che lo rappresentavano, che lo detenevano. Lo Stato detenuto. E bisognava liberarlo. Ma era in detenzione anche lui: non poteva che tentare di aprire una crepa nel muro ».

Leonardo, tu questo lo pubblicavi nel 1971 – e certo l’avevi scritto prima. L’avevi scritto, forse, gli stessi giorni della strage di piazza Fontana. Tre anni prima della strage di piazza della Loggia. Tre anni prima della strage dell’Italicus. Quattro anni prima dell’omicidio Pasolini. Sette anni prima del rapimento Moro. Nove anni prima della strage della stazione di Bologna. E potrei continuare. E potrei allargare il quadro. Potrei estendere la pestilenza della detenzione a tutto il mondo come oggi lo conosciamo. Un mondo che risponde perfettamente alla logica di un titolo pirandelliano, Così è, se vi pare, e che non risponde a nessun’altra logica. 

Nessun commento:

Posta un commento