domenica 22 febbraio 2015

Acqua cheta


Qualche anno dopo avrebbero detto, « Da bambina la mettevamo nella culla. Faceva dimenticare di essere lì. Fino a due anni non sapeva piangere ». Quando iniziò? Forse cadendo si sbucciò un ginocchio. Forse qualche antico dolore le sbucciò il cuore per sempre. Al cinema non la potevi frenare: nel buio si scuoteva di lacrime quiete, ricacciandosi in gola i singhiozzi. Io le stringevo la mano. Allora alzava il mento e mi fissava gli occhi negli occhi, ma nei suoi occhi invasi di pianto vedevo riflesso un dolore destinato a non guarire mai. Più tardi, nel letto, coprivo di cerotti i suoi malanni immaginari. Poi, se c’era ancora tempo, le coprivo il volto di baci. Non sapeva ricambiare, non dava mai qualcosa. E qualsiasi cosa sembrava di dovergliela strappare dal petto aprendo nuove ferite.
« La lasciavamo nel box e stava lì a giocare con le sue cose. Faceva dimenticare di essere lì. Passavano ore. Dopo un paio di ore ci veniva spavento. La vedevamo ammazzata sul fondo del box, la cordicina di un gioco intorno al piccolo collo. Ma no, non ci diede il dolore di morire. Semplicemente si addormentava. Faceva dimenticare di essere lì ».
Chi ci visse insieme la ricorda così. Un’acqua cheta, il viso color carta. All’ora dei pasti usciva dalla stanza per cucinarsi qualcosa. Non si univa ai discorsi degli altri. Mangiava in un cantone del tavolo e sparecchiava subito. Faceva dimenticare di essere lì. Alcuni dimenticarono e a tutt’oggi non ne saprebbero descrivere il viso, l’espressione afflitta e melanconica. Alcuni dimenticavano mentr’era lì con loro e parlavano di lei in terza persona, come fosse una mongoloide.
Era intelligente, acuta persino. Una prima occhiata le bastava a comprendere il prossimo, ma comprenderlo non le interessava. Il suo cuore soltanto le interessava, spiarne sempre le orrende ferite, auscultando i singulti e gli spasmi del corpo. Aveva un corpo spasimante dolore.
« Da bambina stava spesso in camera con me. Io studiavo Diritto Commerciale. Sulla cassapanca di fronte alla specchiera avevo una collezione di bottigliette di profumo. Le chiedevo di non toccarle. Aveva due anni. Non le toccò mai ».
Stava al suo posto, seguiva alla lettera le istruzioni. Di tutti i medicinali leggeva le controindicazioni. Lasciata a se stessa, spendeva il suo tempo su forum di malattie. Era convinta di avere la sla e pure un cancro del cavo orale. Non fumava. Non reggeva l’alcol. Mangiava poca carne. Non ebbe mai voglia di drogarsi. Non le piaceva fare l’amore. Era sana come un pesce. Mi morì un giorno fra le braccia, di crepacuore. 


Di Chiara Pagliochini

2 commenti:

  1. Complimenti! Mi hai tenuta agganciata al racconto per tutto il tempo. E' di una dolcezza struggente! Complimenti davvero. Hai un modo molto sottile di raccontare, per un attimo mi hai ricordato un passaggio di Ogni cosa è illuminata. E' stato come leggere delle pagine segrete di Brod. :)

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  2. Ciao, Duille, ti ringrazio tanto per le belle parole. Mi hai migliorato la giornata :)

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