domenica 31 maggio 2015

E così vorresti fare lo scrittore, Giuseppe Culicchia

«Preparati. Se proprio vuoi fare lo scrittore, preparati. Ma preparati sul serio. Perché le ferrovie italiane, specie in provincia, sono quello che sono. […] Sappi che prima o poi ti inviteranno per esempio a Perugia, e a meno che tu non sia di Perugia scoprirai quanto sia difficile raggiungere Perugia, quale che sia la stazione di partenza». 


(Curiose coincidenze: mentre leggevo questa citazione, ero a bordo dell’Intercity che mi riportava verso casa, con 40 minuti di ritardo, in provincia di Perugia. Signor Culicchia, quanto la capisco!)

Ho acquistato questo manualetto attratta dal titolo e dalla graziosa copertina. Devo dire che non ha tradito le aspettative: è stata una lettura piacevole, che mi ha strappato più di una risata, ma che non manca di suscitare qualche amara riflessione sul mondo dell’editoria. Ripercorrendo le tappe della propria carriera, nelle sue gratificazioni ma anche e soprattutto nei suoi inconvenienti e nelle ricorrenti ossessioni, Culicchia restituisce un’immagine (credo) piuttosto sincera del lavoro di scrittore: mestiere di cui molti hanno un’idea abbastanza romantica e che, invece, è soggetto a necessità e compromessi del tutto prosaici, al pari di qualsiasi altra professione. 

Per chi è interessato a pubblicare o ha appena pubblicato qualcosa o comunque ambisce a un posto tra gli addetti ai lavori, il libro può avere una certa utilità. Un’utilità, per così dire, smaschera-sogni, che cinicamente decostruisce una o due centinaia di illusioni. Per questo consiglierei di prenderlo col sorriso sulle labbra, in modo da non farsi smorzare ogni entusiasmo. 

Credo che il panorama dell’editoria sia un po’ cambiato rispetto allo scenario descritto da Culicchia: oggi il canale del self-publishing, sempre più utilizzato, sta allevando scrittori (polemica: dobbiamo/possiamo definirli/ci tali?) sempre più disincantati, per i quali l’accesso al Dorato Mondo delle Lettere non è più una meta così ambita né auspicabile e che sanno per primi re-inventarsi imprenditori di se stessi. Si parte, insomma, con qualche illusione in meno, con qualche abilità in più. Se questo sia un bene o un male, non so dire: penso solo che la paura di fallire o anche un pregiudizio verso i tradizionali canali dell’editoria non dovrebbero impedirci la felice ingenuità del tentativo. E, soprattutto, niente dovrebbe intaccare la felicità di scrivere, unico motivo legittimo per “voler fare lo scrittore”.


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