«Preparati. Se
proprio vuoi fare lo scrittore, preparati. Ma preparati sul serio. Perché le
ferrovie italiane, specie in provincia, sono quello che sono. […] Sappi che
prima o poi ti inviteranno per esempio a Perugia, e a meno che tu non sia di
Perugia scoprirai quanto sia difficile raggiungere Perugia, quale che sia la
stazione di partenza».
(Curiose coincidenze: mentre leggevo questa
citazione, ero a bordo dell’Intercity che mi riportava verso casa, con 40
minuti di ritardo, in provincia di Perugia. Signor Culicchia, quanto la
capisco!)
Ho acquistato questo manualetto attratta dal
titolo e dalla graziosa copertina. Devo dire che non ha tradito le aspettative:
è stata una lettura piacevole, che mi ha strappato più di una risata, ma che
non manca di suscitare qualche amara riflessione sul mondo dell’editoria.
Ripercorrendo le tappe della propria carriera, nelle sue gratificazioni ma
anche e soprattutto nei suoi inconvenienti e nelle ricorrenti ossessioni,
Culicchia restituisce un’immagine (credo) piuttosto sincera del lavoro di
scrittore: mestiere di cui molti hanno un’idea abbastanza romantica e che,
invece, è soggetto a necessità e compromessi del tutto prosaici, al pari di
qualsiasi altra professione.
Per chi è interessato a pubblicare o ha appena
pubblicato qualcosa o comunque ambisce a un posto tra gli addetti ai lavori, il
libro può avere una certa utilità. Un’utilità, per così dire, smaschera-sogni,
che cinicamente decostruisce una o due centinaia di illusioni. Per questo
consiglierei di prenderlo col sorriso sulle labbra, in modo da non farsi
smorzare ogni entusiasmo.
Credo che il panorama dell’editoria sia un po’
cambiato rispetto allo scenario descritto da Culicchia: oggi il canale del self-publishing, sempre più utilizzato, sta allevando scrittori (polemica:
dobbiamo/possiamo definirli/ci tali?) sempre più disincantati, per i quali l’accesso
al Dorato Mondo delle Lettere non è più una meta così ambita né auspicabile e
che sanno per primi re-inventarsi imprenditori di se stessi. Si parte, insomma,
con qualche illusione in meno, con qualche abilità in più. Se questo sia un
bene o un male, non so dire: penso solo che la paura di fallire o anche un
pregiudizio verso i tradizionali canali dell’editoria non dovrebbero impedirci
la felice ingenuità del tentativo. E, soprattutto, niente dovrebbe intaccare la
felicità di scrivere, unico motivo legittimo per “voler fare lo scrittore”.
Pensavo fosse meno realistico, però.
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