Nel mio paesello vive una donna che ha ormai
settant’anni e i capelli tutti grigi. Il viso è sottile, scavato, grinzoso, le
gambe secche come ramoscelli, ma agili ancora e solide. Si chiama Anna. Fin da
quando la conosco io, è sempre stata la donna più veloce del mondo e l’unico
motivo per cui non ha mai vinto una competizione è perché non ha partecipato a
nessuna. Quelle gambe gliele ha fatte svelte una giovinezza lontana, di
faccende e fatiche e vergate quando tornava a casa tardi. Sono sgusciate sempre
di sotto alla gonna con la fretta di chi ha troppo da fare anche solo per
pensare di far altro. Pei colli e le greppie, pei campi, pei fossati, tutti i
terreni hanno provato e scavalcato e sconfitto. Sono gambe di veterano.
In qualche punto della sua vita – in quale non
lo so, perché non ero ancora nata – s’è maritata con un uomo più vecchio. È
vivo anche lui, si chiama Vittorio. Che aspetto avessero quando si sposarono
non me lo so figurare, io che li ho sempre conosciuti così. I vecchi sono
eterni; se li conosci già vecchi, sembra che non invecchino un giorno di più. Questo
per dire che la mia storia è tutta una lacuna e il lettore mi perdonerà se
vengo subito al dunque. Un giorno – non so quando, non so come, non so perché –
Vittorio si tirò un colpo di fucile nella gamba. Zoppica da allora, zoppica
peggio ogni giorno che passa e oggi l’ho visto arrancare sul bastone con una
spossatezza che non gli avevo visto mai. Ho sentito una grande pietà. Ho
pensato, « non ce la farà ». È così, ne ho visti morire tanti da quando sono al
mondo: al mio paesello ci abitano soltanto vecchi. Sei abituato a vederteli
attorno fin da bambino e pensi che staranno lì per sempre, invece ti muoiono
intorno a ciocche. Prima una casa si svuota, poi l’altra, poi l’altra, fino a
che non ti circondano che case vuote e tocchi di bastone e il cicaleccio delle
vedove giù nella piazzetta. Di vedove ce ne sono tante al mio paese e fanno la
maglia e spettegolano sedute sul dondolo o sulle panche. Anche Anna sarà una
vedova: l’ho visto oggi in Vittorio che arrancava. Ma ho visto anche altro. Ho
visto tanto altro, e forse è solo questo che conta.
Immaginate di essere la donna più veloce del
mondo. Coprite una distanza di un chilometro in due minuti. In cinque, siete
andati e tornati dall’orto cinque volte. Trasportate secchi e sacchi, carriole,
pale, picconi, fasci d’erba, ortaggi, galline. Siete precisi, puntuali, lesti
e, soprattutto, veloci.
Immaginate, adesso, di essere sposati all’uomo
più lento del mondo. Cinque minuti li ha impiegati per attraversare la piazza,
da casa all’orto ce ne vogliono almeno dieci. Se gli crollasse il tetto in
testa, non riuscirebbe mai a mettersi al sicuro. Un carico troppo pesante non
lo può portare. Se gli urlano di correre per un’emergenza, non riuscirà comunque
a camminare più veloce. È macilento, il suo passo è doloroso e sempre sbuffa e
fiotta e si asciuga la fronte col fazzoletto.
Voi, che siete la donna più veloce del mondo.
Lui, che è l’uomo più lento.
Immaginate come dev’essere vivere fianco a
fianco, vivere così mal sincronizzati, così impastoiati. Lei che chiama e lui
che non può venire. Lei che ordina e lui che non riesce a obbedire. Immaginate
quale pazienza dev’essere quest’aspettarsi tutti i giorni, tutti i momenti,
questo limitarsi per l’altro, l’un l’altro, questo vivere a velocità diverse.
Immaginate l’amore che ci vuole.
È così. Amore è sacrificio per sincronizzarsi
coi tempi e coi bisogni dell’altro. Non un sacrificio astratto, non tutte parole
e niente fatti, ma un sacrificio di quelli che fanno perdere la pazienza e
montare il veleno e ti viene da urlare e strepitare e scrollare perché l’altro
non è abbastanza veloce, cavolo, non abbastanza veloce, e ti limita, imprigiona
le tue possibilità. Se sei più avanti, lo devi aspettare. Se sei più indietro,
devi umiliarti e rantolare che ti aspetti. L’amore è compromesso di velocità
diverse. Quante volte si viene nello stesso momento? Ma quante, quante no?
Quante volte amiamo e non siamo riamati, poi l’altro ci ama e noi non lo amiamo
più? Quanti orologi sincronizzati male? Quante esigenze discordi?
Anna e Vittorio m’hanno insegnato questo, e me
lo insegneranno anche quando non ci saranno più. Che quando si ama si è
disposti a tutto, a prendersi tutti i disturbi, a soffrire tutti i fastidi, a
rallentare il passo per stare al passo dell’altro e anche a spingere con più
forza su quel bastone perché si vuole arrivare prima.
Vedendo oggi Vittorio passare così stanco –
ogni tanto si fermava – e Anna che sulla soglia già lo chiamava, ho pensato che
sarebbe stato bello raccontare questa storia. Ho pensato che presto Vittorio
non ce la farà più, troppi anni a sforzare quella gamba maledetta, e che Anna
camminerà da sola, alla sua velocità, coi suoi tempi, fino a che il tempo
vorrà. Ma non sono sicura che non si volterà per vedere perché lui non viene.
Non sono sicura che sarà felice di poter tornare a camminare veloce.
Chiara Pagliochini
hai garbo e delicatezza e una scrittura pulita ...
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