sabato 12 novembre 2011

Il buon soldato, Ford Madox Ford


“Questa è la storia più triste che io abbia mai sentito. […] Mia moglie ed io conoscevamo il Capitano e la signora Ashburnham così bene com’è possibile conoscere chiunque eppure, in un certo senso, non sapevamo proprio niente di loro.”

Mi congedo da questo libro con una tristezza incredibile, resa tanto più grande dalla costatazione che non avrei mai conosciuto questo romanzo se non fossi stata obbligata a leggerlo. Certe volte fioccano libri che sembrano darti le risposte che cercavi e allora resti lì a chiederti com’è che non li conoscessi prima, com’è che non ti siano caduti addosso da uno scaffale. La risposta, io credo, è piuttosto semplice: sia Il buon soldato sia Ford Madox Ford, il suo autore, non sono decisamente molto conosciuti. Non possono pioverti addosso da uno scaffale semplicemente perché non sono sullo scaffale. Non è la storia più triste che abbiate mai sentito?
La vicenda narrata gioca su una domanda fondamentale, una domanda contro la quale prima o poi tutti veniamo a sbattere la testa. Quanto bene è possibile conoscere la persona che abbiamo di fronte? È possibile conoscere una persona al di sotto della più bieca scorza superficiale? Si può andare oltre le chiacchiere di cortesia, le partite di cricket e il tè delle cinque e conoscere quella persona nella sua essenza, nell’anima nuda che ci si rivela? Ford risponde subito, e la sua risposta è “no”. Non si può conoscere niente di ciò che ci accade mentre ci accade, non si può conoscere nessuno quando lo abbiamo di fronte: si può solo indagare a posteriori, nel ricordo, quando sappiamo incastrare i pezzetti con la giusta concentrazione e il giusto spazio di tempo in mezzo.

Il buon soldato è la storia di un pentagono amoroso. Non un triangolo. Non un quadrilatero. Quattro dei cinque vertici ci vengono presentati fin dall’incipit e sono “mia moglie”, “io”, “il Capitano”, “la signora Ashburnham”. Procediamo con ordine.
“Io”, ovvero la voce narrante, è John Dowell, un ricco Americano senza alcun interesse nella vita, il cui unico scopo è fare da infermiera alla moglie malata in tutti i centri termali dell’Europa. Siamo molto indecisi su come valutare questo “io”. È un uomo? È una donna? È un alieno? La sua identità sessuale e il suo livello di intelligenza vengono continuamente messi in discussione dal lettore. Certe volte si crede che sia un genio del crimine, un furbone, certe volte non si può non vedere come un idiota, un deficiente, un folle, un assoluto asino patentato. Perché John Dowell non capisce nulla, assolutamente nulla di quello che gli accade intorno. Non capisce quando la gente gli mente. Non capisce se le persone che ha di fronte sono brave persone oppure no. Nulla. È un imbecille completo.

Oppure finge. Oppure finge così bene che inganna il lettore. Perché facendo finta di non sapere, di non aver mai capito cosa gli accadeva intorno, John Dowell ci tiene incollati alle pagine del suo romanzo. Lo conosciamo nove anni dopo l’inizio di questa storia, proprio mentre si accinge a raccontarla. John Dowell è lì di fronte a noi e ci chiede, “com’è meglio che io racconti?”, “secondo voi come dovrei fare?”. E allora costruisce tutta un’immagine, si inventa di essere un uomo che parla accanto a un caminetto e che noi siamo lì che lo ascoltiamo. Ma non è vero niente. Non è vero perché lui sta scrivendo. Eppure scrive come se parlasse. Questa è la grande forza, l’ingranaggio davvero rivoluzionario del romanzo. John Dowell, con la sua finzione del “raccontare a voce”, inventa il più grandioso narratore in prima persona che io abbia mai conosciuto. Non segue un ordine cronologico, non segue un ordine tematico, non segue nulla, procede alla deriva, così come ricorda le cose, proprio come un uomo che parla accanto al fuoco. Dice una cosa, si corregge, va a ritroso quando si accorge di non averla spiegata bene, fa continui salti avanti e indietro, tiene viva la tensione come se stessimo leggendo un thriller.
Ma il vero colpo di maestro sta in questo. Sballottato qua e là dai ricordi e dalle rettifiche di John, il lettore non ha per niente la sensazione di star leggendo un romanzo. Non pensa di essere di fronte a una storia inventata e a personaggi inventati. È come se un nostro amico ci dicesse, “ieri sera ho visto Marco, siamo andati al cinema. Prima siamo andati a mangiare la pizza. No, non è vero, che cretino che sono. A mangiare la pizza ci siamo andati ieri l’altro, ieri sera abbiamo cenato al ristorante cinese”. Avete motivo di dubitare che dica il falso? No. Avete motivo di dubitare che Marco esista? No. Il vostro amico vi dà dei fatti, vi cita delle persone, e voi date tutto per scontato. Allo stesso modo nessuno mette in dubbio che “io”, “mia moglie”, “il Capitano”, “la signora Ashburham” esistano. Ci sono. Il lettore lo sa. Sono da qualche parte nel mondo ed esistono anche se noi non li conosciamo. Perché sono troppo veri per essere finti.

Io non lo so. Non so come Ford sia riuscito a scrivere questo libro. I suoi personaggi/persone hanno la psicologia più contraddittoria, incoerente e dunque umana che io abbia mai visto. Non sono una somma di tratti. Non sono un’accozzaglia di piccoli dettagli comici. Sono come me e come te, tutto un tondo, stupendamente vividi. Parlano come me e come te, come parlano le persone. Hanno lo stesso guazzabuglio di sentimenti che abbiamo noi, e li esprimono come li esprimiamo noi. Ovvero? Hanno un bordello in testa, un vero bordello.
“Mia moglie” è Florence Dowell, bellissima donna malata di cuore. Oppure bellissima donna senza cuore. Oppure bellissima donna senza cuore e neanche malata di cuore. Perché “cuore” è la parola chiave attorno alla quale ruota tutto il romanzo. Non “dammi tre parole, sole cuore amore”. È come se fossimo di fronte a un indovinello che dice: “ci sono 5 persone, e due di queste hanno problemi di cuore, decidete voi quali sono”. Ma è un indovinello molto difficile. Perché si può essere malati di cuore nel senso di avere una malattia cardiaca o si può essere ammalati in senso metaforico, ovvero soffrire per amore. Senza considerare che in inglese “to have a heart” significa sia “avere una malattia cardiaca” sia “essere una persona sensibile e generosa”. Chi “has a heart” in questo romanzo? È davvero una risposta difficile.

“Il Capitano” è Edward Ashburnham, il buon soldato del titolo. Noi sappiamo quanto portare il nome Edward sia impegnativo. C’è un passaggio in cui la luce del sole al crepuscolo (“twilight”) si riflette sul suo volto e allora uno dice, “adesso comincerà a brillare”. Chiamarsi Edward in un’epoca come la nostra e risultare credibili è davvero molto difficile. Questo Edward (e non l’altro, non l’altro) è l’uomo dei miei sogni, perché se siete una ragazza carina e state piangendo su un treno lui si siederà al vostro fianco, vi abbraccerà la schiena e vi bacerà per consolarvi. Vi bacerà anche se non vi conosce, anche se siete una cameriera. Tutto ciò che importa a Edward è che voi siete tristi e lui può consolarvi. E la stessa cosa fa con i bambini orfani, la stessa cosa fa con le povere famiglie di contadini. Edward ha davvero un buon cuore. Insomma, sarebbe l’uomo perfetto se non fosse anche un perfetto fedifrago, un perfetto alcolizzato e un perfetto scialacquatore di patrimoni.
“La signora Ashburnham” è Leonora, moglie di Edward, la quale deve convivere con questo marito perfetto fedifrago, perfetto alcolizzato e perfetto scialacquatore di patrimoni. Leonora è l’unico uomo di questo romanzo e certamente il personaggio più forte della narrazione. È un perfetto economista, un perfetto sacerdote, un perfetto diplomatico. Leonora è sempre lì a curare la propria immagine e l’immagine pubblica del marito, come se fosse un personaggio deviato dei romanzi di Jane Austen. Leonora mi ha davvero ricordato un personaggio di Jane Austen, ma vent’anni dopo: vent’anni dopo, quando Elizabeth è un po’ invecchiata e Darcy scialacqua i patrimoni e ha almeno 3 amanti. C’è un motivo per cui i romanzi di Jane Austen si fermano sempre al matrimonio: perché è dopo il matrimonio che iniziano i veri casini.

Abbiamo dunque questi personaggi, John – Florence – Edward – Leonora, e li vediamo interagire fra di loro. Li vediamo alle prese con scambi di coppia, relazioni extra-coniugali, bancarotte, suicidi. Poi abbiamo il quinto vertice, che per la prima metà del libro si chiama solo “the girl” e che poi scopriamo chiamarsi “Nancy”, ed è davvero una delle creature più commoventi che mano maschile abbia mai creato. Ciascun personaggio ama ciascun altro personaggio e ciascun personaggio odia ciascun altro personaggio, perché in geometria ci sono i lati che uniscono i vertici ma ci sono anche le diagonali. Ciascun personaggio ha un cuore ma non si capisce bene in che senso. Per non metterci ad affrontare quel delizioso tasto che riguarda i rapporti sessuali e di cui vi dirò solo questo: abbiamo almeno due vergini di cui una è certamente frigida/o, abbiamo una frigida che non credo sia vergine, abbiamo due personaggi dalla vita sessuale piuttosto intensa. E non vi dirò chi sono. Assolutamente no. Non vi dirò neanche se sono uomini o donne. È troppo divertente tirare le conclusioni da soli.
Il romanzo alterna momenti di grande comicità a momenti di grande tragedia, ma si chiude con una nota di fondo che non può non essere tragica e che Ford esprime così:

“È un mondo assurdo e fantastico. Perché le persone non possono avere ciò che desiderano? Le cose sono tutte qui, a nostra disposizione, e bastano a soddisfare tutti; tuttavia ogni persona finisce per avere la cosa sbagliata. […] C’è da qualche parte un paradiso terrestre dove, tra il sussurro dei rami d’ulivo, una persona possa stare con chi vuole stare e avere ciò che desidera e sentirsi a proprio agio stesa all’ombra e al fresco? O la vita di tutte le persone è come la nostra – come la vita degli Ashburnham, dei Dowell, dei Rufford – una vita rotta, tumultuosa, agonizzante, priva di romanticismo, una vita punteggiata di urla, di imbecillità, di morti, di agonie? Chi diavolo lo sa.”
Eh sì, è veramente la storia più triste che io abbia mai sentito.

3 commenti:

  1. Casualmente, ho preso in mano una copia del libro in una libreria di Cork, in Irlanda. Ero tentato di comprarlo e di leggerlo, finalmente. A trattenermi è stato il prezzo, ma giuro che lo leggerò, prima o poi! :-)

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  2. Il libro lo si trova gratuitamente qui in vari formati: ;)
    http://www.gutenberg.org/ebooks/2775

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  3. Brava! Una recensione che ho letto d'un fiato

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