«
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno
scolpito:
una barca con vele
ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la
mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì
e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia
porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma
io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame
di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna
alzare le vele
e prendere i venti del
destino,
dovunque spingano la
barca.
Dare un senso alla vita
può condurre a follia
ma una vita senza senso è
la tortura
dell’inquietudine e del
vano desiderio –
è una barca che anela al
mare eppure lo teme. »
Lasciate che vi racconti una storia. Siamo
in Italia, negli anni del fascismo. Una “ragazzina” chiede a un importante
scrittore di spiegarle la differenza tra letteratura inglese e letteratura
americana. Lavorano insieme, per la stessa casa editrice. Una casa editrice il
cui direttore editoriale sarà torturato e ucciso dai nazisti nel 1944, dopo
essere stato scoperto a pubblicare clandestinamente il giornale di Giustizia e libertà. È questo il clima
in cui la ragazza pone la sua buffa domanda, la cui risposta oggi ci appare
così scontata.
Il grande scrittore si passa la pipa
dall’altra parte della bocca per nascondere un sorriso e non risponde. Una
mattina, porta alla ragazza un libro. Si intitola Spoon River Anthology. Lei lo apre, “proprio alla metà”, e resta
folgorata da due versi: « mentre la
baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì ». Colta da
un impulso irrefrenabile, comincia a tradurlo in italiano. Per parecchi anni
traduce e traduce gli stessi ritratti, finché sono ormai parte di lei. Un
giorno, lo scrittore le trova il manoscritto con le traduzioni in un cassetto. Lei
si vergogna, aspetta “con un gran batticuore” che lui dica qualcosa. Ma lui
dice solo:
« Allora ha capito che differenza c’è tra la letteratura americana e
quella inglese », e si porta via il manoscritto.
Nel 1943, quello scrittore, Cesare Pavese,
e quella ragazzina, Fernanda Pivano, curano la prima edizione italiana del
capolavoro di Masters, che esce con il titolo di Antologia di S. River,
ammiccamento a un improbabile Santo, al quale la censura concede il
lasciapassare. Salvo poi rimangiarselo qualche giorno dopo e sequestrare il
libro per “immoralità della copertina” – una copertina bianca orlata di verde.
Se oggi la differenza tra letteratura
inglese e letteratura americana ci appare così scontata, pensiamo a quei due
truffatori, Pavese e la Pivano, che per primi portarono in Italia non soltanto
Edgar Lee Masters, ma Melville, Whitman, Hemingway, Fitzgerald, Kerouac…
Portarono il mondo da noi, portarono noi nel mondo.
L’Antologia
di Spoon River ha un doppio cuore: un cuore pulsante di poesia e un cuore
pulsante di narrativa. In versi, infatti, vengono narrate le sorti degli
abitanti di Spoon River, immaginario paese americano traversato dal fiume
Spoon. Sono gli abitanti stessi, dal cimitero sulla collina, a narrare la
propria vita o soltanto un momento di essa, a raccontare la storia di qualcun
altro, a offrire un giudizio definitivo ma incompleto sulla propria esperienza
terrena. Gli abitanti di Spoon River si compongono epitaffi, ognuno secondo le
proprie capacità. Ci sono epitaffi sublimi ed epitaffi scialbi, quelli che
strappano un sorriso e quelli che strappano una lacrima, quelli che avvincono e
quelli che lasciano completamente indifferenti. La genialità di Masters
consiste in questo: nell’umiltà di aver messo in bocca le parole giuste per
ciascuno. Il poeta non cerca di impressionare con la propria tecnica, non compone
una raccolta di soli pezzi magnifici, non sceglie soltanto i frutti migliori. No,
egli lascia che la vita entri nella poesia in tutte le sue sfaccettature, da
quelle più lustre a quelle più opache. Così la sua poesia e i suoi personaggi
sono davvero vivi.
Credo che Edgar Lee Masters mi abbia
insegnato che anche la poesia è racconto. Credo che, senza di lui, avrei impiegato
molto più tempo per capirlo. La poesia è un modo per parlare della vita e del
mondo, non soltanto ed egoisticamente della nostra vita e del nostro mondo
interiore. Solo in questo modo la poesia può diventare davvero generosa e
umana.
Sono tanti, troppi, i componimenti che mi
hanno lasciato qualcosa, i personaggi femminili specialmente. La traduzione
della Pivano è bella, davvero, ma è il testo originale a fronte a rendere
straordinaria l’esperienza di lettura, permettendo al lettore di assaporare il
ritmo e la grana del verso.
È un libro che regalerei a quelli che
dicono – sì, esistono – « Io non leggo poesia, non mi piace ». Esiste tanta
altra poesia rispetto all’oscura – e tuttavia magnifica – Ginestra leopardiana, tanta poesia che aspetta di aprire i nostri
occhi alla bellezza.
Bel post!
RispondiEliminaTi ringrazio!
EliminaSi tratta di un bellissimo libro che fai molto bene a suggerire a tutti e diffondere. Andrebbe preso più in considerazione dalle antologie!
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