domenica 18 settembre 2011

Inferno

hell woman by ~myiu14

Sono sbucata sulla sala e d’un tratto non sapevo dove mi trovassi. Una luce rossa intermittente, la grande palla stroboscopica, quel cerchio impazzito senza un centro. Sono sbucata sulla sala dal corridoio buio e quella luce rossa e il fumo e i corpi che si muovevano e le mani che oscillavano dalla balaustra in alto e io che le guardavo, mani e mani negli occhi, un paesaggio che oscilla, una luce che oscilla, a scacchi, a fasce, e il fumo, l’odore di fumo e di sudore e gli sguardi spenti, vuoti, che neanche soffrono, quegli sguardi che non comunicano nulla, come se non ci fosse nulla da comunicare, come se il mondo non fosse comunicazione ma movimento, mera oscillazione, andare avanti e avanti e avanti senza andare in alcun luogo, senza un centro, un punto fermo, un’idea. L’inferno, questo luogo è l’inferno.
Questi ragazzi e queste ragazze che si muovono a ritmo di musica e fumano sigarette e bevono da bicchieri di plastica hanno il mio sangue nelle vene e sono vivi tanto quanto me, eppure riconoscere che sono come me, riconoscere che siamo entrambi umani è difficile. Non perché io li condanni, questo no. Ma perché io mi sento condannata. Mi sento condannata da questo luogo e questa luce, mi sento minacciata e vulnerabile, come se chiunque potesse farmi del male. Basta poco perché mi facciano del male. Basta che mettano un piede in fallo o mi assestino una gomitata tra le scapole, basta anche che mi prendano per mano. Qualunque cosa facciano queste persone mi fanno del male, queste persone senza faccia. E mi fanno del male perché ho paura, ho paura di loro e di tutto. Mi sento di morire.
Prendo un respiro, ma non funziona. Devo sorridere. I miei amici vogliono che sorrida. Hanno detto, cerca di divertirti. Cerco, ma devo trovare un punto, un centro, un senso. Devo far defluire la paura. Devo capire che queste persone non mi minacciano, che i ragazzi che sniffano dalla cartina non sono lì per ammazzare me, che le ragazze col reggiseno indosso non sboccheranno sui miei sandali neri. E anche se lo facessero, anche se mi facessero del male, io devo fingere che non sia niente, devo fingere perché devo sopravvivere. Sopravvivere è più importante di tutto.
Posso ancora salvarmi. Posso essere forte. Io sono Dante al centro dell’inferno.
Allora comincio ad imitarli. Comincio ad oscillare anch’io con la testa, comincio a sciogliermi nel ritmo della musica, il corpo che si affloscia piano, le spalle che si alzano e si abbassano, una mano si solleva e ricade. Un passo a destra e uno a sinistra, l’importante è non fermarsi, non far vedere che sei ferma, non far vedere che sei debole. Se ti fermi ti attaccheranno. Se ti fermi sarai perduta. Se ti fermi la tua coscienza ti sommergerà. Bevi cuba libre da un bicchiere col ghiaccio, solo coca-cola, dolce come il veleno. Ti fai largo a forza di spinte e se ti spingono non te la prendi, va bene così, tu muoviti addosso a loro che loro si muovono addosso a te, è un abbraccio universale, una lotta sul fondo della bolgia. Non hai qualche centimetro per te. I tuoi centimetri sono anche i loro, tu non li possiedi. Non possiedi neanche il tuo corpo, che fa tutto lui, ma possiedi il pensiero e quel pensiero è il tuo centro e il tuo senso e la tua salvezza. Il tuo corpo si può muovere e si può ferire e tutto intorno a te può vomitare o esplodere, ma se sei presente a te stessa allora sei beata, sei salva, immacolata. E per fortuna che il cuba libre fosse solo coca-cola, altrimenti questo centro l’avresti mancato, e avresti avuto quegli occhi vuoti, quegli occhi vuoti anche tu, della gente che non sembra viva e tu pensi non si possa più salvare.
L’odore del fumo fa lacrimare gli occhi. L’odore dei cocktail, un po’ fragola un po’ limone. Il profumo forte delle ragazze, che aspiri per coprire tutto il resto. Per coprire il puzzo di sudore, come di gente che non si lava da giorni; per coprire quell’altro odore, più agro, quello dei succhi gastrici.
Calpesti la plastica dei bicchieri. Calpesti i bicchieri rovesciati. Calpesti fazzoletti molli. Calpesti caviglie e chiazze di vomito, di gente che non è riuscita ad arrivare in bagno. Davanti ai bagni, in piedi lungo una colonna, balla una ragazza sola, una ragazza un po’ svestita. Ha la pancia scoperta e si muove molto bene, sinuosa, come una gatta o un nastro, muove insieme le mani, se le porta sopra la testa. Scioglie tutto il corpo come un serpente, liquida e spenta. Spenta come i suoi occhi. Ti intristisce, ma non sai perché. Ti intristisce perché pensi è pazza è drogata è ubriaca è qui a far pompini. Ma lei non ha colpe. Sei tu che pensi questo. Magari lei è salva e tu l’hai già condannata. Ti senti ingiusta e cattiva.
Ti senti ingiusta quando respingi quella mano, quando torci quel polso che aveva avvicinato il tuo. Pensi, non mi toccare, come se fossero tutti malati, come se fossero lebbrosi e avessero la pelle coperta di piaghe. Sei ingiusta, ma non importa. Non importa perché tu sei col tuo pensiero. Il tuo pensiero ti salva e quella mano ti condanna. Lasciala perdere, respingila, torci il polso.
Ma c’è anche qualcuno che ti commuove. Ti commuovono le ragazze ubriache che chiedono scusa tre volte. Ti commuove chi si piega in due a vomitare sul divano. Ti commuove quel ragazzo strano, quel ragazzo gentile, che non hai visto in faccia, ma che invece di spingerti ti ha messo una mano sul fianco, come se ti stesse proteggendo, come se volesse spostarti ma non ce l’avesse con te. Ti commuove chi ti tocca sulla spalla per farsi avanti, e capisci che sono persone gentili. Fuori di qui sarebbero persone gentili. Ti intristisce anche di più. Ti commuove la gente che si fa largo, che cammina, che attraversa la pista da ballo come se dovesse andare chissà dove, deve raggiungere chissà chi, non va da nessuna parte eppure si deve muovere. Forse per loro la salvezza è muoversi come per te lo è il pensiero. Ti commuove quel tuo amico, sprofondato in una poltrona, la faccia tra le mani, un po’ ubriaco. Ti commuove quando si accascia sulle gambe, gli gira la testa, e vorresti portarlo fuori, fargli prendere una boccata d’aria, reggergli la testa mentre vomita. Ma lui dice, non c’è bisogno: allora non vai.
Ti commuovono le coppie che si baciano a centro pista. Ti commuovono e ti fanno rabbia. Non perché tu non baci nessuno, questo no. Ti fanno rabbia perché se tu amassi qualcuno non lo porteresti certo qui. Se tu amassi qualcuno non verresti qui. Se tu amassi qualcuno le vostre teste si basterebbero, la testa appoggiata alla testa dell’altro. Se tu amassi qualcuno non lo vorresti all’inferno. Non sareste Paolo e Francesca, e neanche vorreste esserlo.
Ma al centro di questo inferno, superato l’odio e la paura del vuoto, se non guardi nessuno negli occhi e nessun occhio guarda te, ma se osservi e sei presente a te stessa - al centro di questo inferno che centro non ha, tu puoi capire il mondo o la gente o la storia. Nel mezzo del disumano, di quello che tu condanni, puoi sempre trovare qualcosa che ti commuove e allora sei di nuovo umana, di nuovo giusta, di nuovo salva. E puoi arrivare ad ammettere che son persone come te, col tuo stesso sangue il tuo stesso stomaco i nervi e tutto. Che domattina faranno colazione come la farai tu. Che forse sono un po’ tristi quanto te, solo che hanno altri modi di dimostrarlo. Solo che non vogliono dimostrarlo, ma dimenticare. Dimenticare di essere tristi.
O forse e più probabilmente è il tuo pensiero che dice questo. Forse tu stai cercando la luce dentro Lucifero. Oppure – e questo è più vero – Lucifero sei tu.
Di Chiara Pagliochini

2 commenti:

  1. E' superiore a qualsiasi altro tuo scritto (letto da me ovviamente).
    Bellissimo, Chiara, complimenti!

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